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la cerbiatta 231


col muso fra l’erba, immobili come addormentate.

Un fruscio fra le macchie fece trasalire il vecchio: ma invece del suo nemico egli vide balzar fuori la cerbiatta che si avvicinò fino a sfiorar col muso il calcio dell’archibugio. Egli credeva di sognare. Non si mosse, e la bestia, non vedendo il latte, sporse la testa dentro la capanna. Scontenta fece una giravolta e tornò rapida laggiù. Per un momento tutto fu di nuovo silenzio.

Il gatto che dormiva accanto al fuoco si svegliò, si alzò, s’aggirò intorno a sè stesso e ricadde come un cercine di velluto nero.

Di nuovo un fremito scompigliò la linea delle macchie; di nuovo la cerbiatta sbucò, saltò nella radura: subito dietro di lei sbucò e saltò un cervo (il vecchio riconobbe il maschio dal pelo più scuro e dalle corna ramose) inseguendola fino a raggiungerla. Si saltarono allegramente l’uno addosso all’altra, caddero insieme, si rialzarono, ripresero la corsa, l’inseguimento, l’assalto. Tutto il paesaggio antico, pallido nella sera d’autunno, parve rallegrarsi del loro amore.

Poco dopo passò il contadino nobile, col suo aratro coperto di terra nerastra. Questa volta si fermò.

— Baldassà, che hai fatto? — disse con voce grave ma anche un tantino ironica. — La giustizia ti cerca per arrestarti.

— Son qui! — rispose il vecchio, di nuovo sereno.