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i tre fratelli 297


rati cantavano incaricando gli uccelli delle loro ambasciate.

A un tratto parve a Pauledda che un tumulto risuonasse in lontananza: la voce che cantava s’era come sciolta in aria e l’accompagnamento corale si mutava in grida rauche. Una rissa? Dei rivali che s’azzuffavano? A poco a poco il tumulto cessò, il canto ricominciò, più lontano, ma l’attenzione della donna fu attratta da un rumore di passi che s’avvicinava sempre più forte e più rapido. Cessò proprio davanti al portoncino, e qualcuno battè cauto ma con insistenza. Ella credeva di sognare: s’alzò confusa e domandò chi era.

— Ohi! son morto! per l’amor di Dio, aprimi....

— Chi sei?

— Merziòro, Aprimi, Paulè, salva un cristiano.... Son morto.... presto, presto, m’inseguono....

Ella aprì e l’uomo precipitò dentro, cadendo lungo il muro al quale appoggiò la mano tentando di risollevarsi, mentre Pauledda richiudeva il portoncino ma senza abbandonare il gancio pronta a riaprirlo se occorreva.

Ella aveva l’impressione che qualche cosa di straordinario accadesse; ma non era l’avventura romantica sognata da lei fanciulla.

— Che è accaduto? Sei ferito?

— No, no; ma mi inseguono.... Sono io.... che ho ferito.... un uomo, e adesso m’inseguono....

— Perchè l’hai ferito?