Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/305

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In quel momento rientrò Pretu: visto il nonno spalancò gli occhi, poi si mise a ridere: ma bastò che la terribile testa del vecchio si volgesse e la voce del padrone si facesse sentire, perchè la tragica serietà del momento s’imponesse anche sull’animo del ragazzo: e Jorgj non aveva finito di dire:

— Che c’è da ridere? Va fuori e non lasciar entrare nessuno, — che già Pretu era di sentinella nel cortile.

Il nonno volse di nuovo gli occhi verso quelli del malato; non parlò, ma il suo sguardo era così ansioso che Jorgj abbassò le palpebre.

— Ebbene, ziu Remundu, se il vostro cuore vi dice di perdonare perdonate. Per conto mio, io.... da lungo tempo ho già perdonato.... a lui.... a tutti!...

Il nonno diede un lungo sospiro: aprì le labbra per riprendere il discorso ma all’improvviso un fremito convulso gli alterò i lineamenti: le sue sopracciglia selvagge s’avvicinarono, distesero come una nuvola fra gli occhi corruscanti e la fronte oscura solcata da rughe simile ad un orizzonte tempestoso; la bocca si contrasse, e le labbra che avevano conosciuto la menzogna, la maledizione, l’urlo dell’odio, tremarono come quelle d’un bimbo che sta per piangere.

Ma egli si vantava di non aver pianto neanche da bambino; vinse quindi il suo turbamento, mentre stendeva la mano, tenendola alquanto sospesa su quella di Jorgi, quasi per assicurarsi prima se questa era disposta alla stretta: finalmente la posò, nera e ancora potente, su quella piccola mano cerea che non andava incontro ma neppure sfuggiva a quell’atto di pace.

— Sei un uomo, Jorgè!

Di nuovo entrambi tacquero, senza guardarsi, le mani unite. Jorgj però si sentiva ripreso dal