Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/306

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suo antico spirito maligno: domande acerbe gli salivano alle labbra, sospetti e dubbi turbavano la sua gioia.

Il nonno parve capire quell’istinto di diffidenza. Ritirò la mano e riprese:

— Ascoltami, Jorgè: oggi son ritornato nell’ovile di Innassiu Arras. Il pezzente era più tranquillo e mi riconobbe: non parlava più e solo, quando mi vide, nascose il viso sotto un lembo della bisaccia. Io gli parlai scherzando: gli dissi: «Resta qui finchè starai bene, poi torna in paese e va da Jorgeddu e fa ciò che egli ti dirà di fare: poichè tu non hai offeso me, Remundu Corbu, togliendomi quei pochi denari, vile pecunia che va e che viene; ma mi hai offeso togliendomi la pace della famiglia e della coscienza, ed hai soprattutto offeso quel disgraziato ragazzo». Egli dunque verrà un giorno o l’altro da te, e tu, se credi, digli ciò che stasera è passato fra noi. E adesso me ne vado, Jorgè: qualche volta, di tanto in tanto, ritornerò e chiacchiereremo, fino al giorno in cui ti rialzerai e riprenderai con più lena la strada. Poi toccherà a me cadere: e quando io sarò sulla stuoia, buttato per non più rialzarmi, verrai tu qualche volta.... Addio, buona notte.

Si alzò appoggiandosi con una mano al bastone, e rimettendo l’altra su quella di Jorgj: ma adesso la diafana mano si volse e afferrò la mano nera ancora potente: i limpidi occhi che il dolore rendeva più vividi cercarono quelli del vecchio e parvero voler afferrare l’anima di lui come la mano afferrava la mano.

— Aspettate; voglio domandarvi una cosa sola. M’avete davvero creduto colpevole?

— Al primo momento sì.

— Ma perchè? Ma perchè?

— Perchè ti odiavo e tu mi odiavi. E l’odio