Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/307

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è come la gelosia; sospetta di tutto senza ragione.

— Dio mio, Dio mio! — gemè Jorgj ripreso dall’angoscia del passato.

— Si vive di errori.... — riprese il nonno, dopo un momento di silenzio. E battè il bastone per terra. — Basta, adesso! L’importante è di riconoscere d’aver sbagliato. Buona notte, Jorgeddu.... non mi saluti?

— Buona notte, — rispose alfine Jorgj, calmandosi; e solo allora il vecchio se ne andò.

Nel cortile si fermò e parve volesse dire qualcosa a Pretu, ma il ragazzo lo sfuggì, premuroso di rientrare dal suo padrone.

Jorgj era pallidissimo, con gli occhi circondati come da un’impronta nera, ma vivi e brillanti. Mentre di solito, dopo una crisi nervosa o un avvenimento straordinario cadeva in un sopore febbrile, quella sera non trovava pace e non gli riusciva di addormentarsi.

«Giusto questa sera!» pensava Pretu palpando di tanto in tanto il suo involtino; e per non eccitare oltre il padrone non gli domandò il perchè della visita del nonno.

A sua volta Jorgj desiderava di restar solo per raccogliere le sue idee e frenarne il tumulto. A momenti gli pareva d’esser trasportato violentemente nello spazio dalla corsa stessa della terra, a momenti che tutto intorno a lui fosse vuoto e immobile. Gli sembrava che le sue tempie scricchiolassero, pronte a spezzarsi come argini alla piena di un fiume, e che il loro tremito si comunicasse a tutte le sue povere membra inerti.

— Hai veduto? — disse sottovoce a Pretu mentre questi gli accomodava le coperte prima di andarsene, — anche il vecchio s’è piegato! Adesso sono contento! Ma sono stanco e voglio dormire. Vattene.