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— Sì, sì, dormite, dormite....
Pretu uscì sollecito e attese. La luna sempre più alta illuminava la straducola; il nonno aveva ripreso il suo posto sullo scalino, con le mani appoggiate al bastone aspettando il ritorno delle donne.
Il paese sembrava deserto, abbandonato a un tratto dai suoi antichi abitatori nomadi; solo il nonno era rimasto sul suo alto scalino di pietra, a custodire i ricordi e a ricordare a sua volta tutta un’età scomparsa.
Ma una figura armata, preceduta da due cani allegri, apparve in fondo alla straducola, su, su, come emergendo dalla valle; si disegnò nera e grande sullo sfondo lunare, e cantando, accompagnata da un tintinnìo di catenelle, di sproni, di campanellini, attraversò la strada solitaria. Tutto il paese parve risvegliarsi; i cani abbaiavano, l’eco rispondeva, e la voce del dottore che andava alla caccia della lepre riempì di vibrazione il silenzio della notte.
Amore, mistero....
Solenne, profondo....
Pretu origliava alla porta del suo padrone; il lume era spento, tutto taceva nella stamberga. Pian pianino rientrò lasciando la porta spalancata perchè entrasse un po’ di chiarore: trasse l’involtino, si fece il segno della croce, prese col dito un po’ dell’unto portentoso e in punta di piedi s’avvicinò al letto.
Jorgj non dormiva, ma messo in sospetto dalle manovre del ragazzo stava immobile con le palpebre abbassate; sentì un respiro ansioso a stento frenato, un dito freddo e unto che gli sfiorava la fronte, il mento, il lobo delle orecchie: poi il chiarore incerto della porta sparì,