Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/78

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50 grazia deledda

a cara bellu ja ses,
traitore che a Zudas:

«bello di viso, traditore come Giuda»; chi invitava un altro a succhiarle il sangue vivo dal cuore; qualche volta la voce di una donna disillusa si alzava però ad ammonire le appassionate, e allora il coro femminile taceva, con una pausa quasi spaventata. L’ammonimento diceva:

       Su sordadu in sa gherra,
nan chi s’est olvidadu;
no s’ammentat de Deus.
Torrat su corpus meu,
pustis chi est sepultadu,
a sett’unzas de terra.1

Il soldato, nella guerra, – dicono che si è dimenticato, – non si ricorda di Dio. – Ritorna il corpo mio, – dopo che è seppellito, – a sette oncie di terra.


Verso sera, andate via le donne, raccolte entro sacchi puliti le mandorle sgusciate, la serva, le ragazze, qualche volta la madre, sedevano al fresco del cortile, sotto le grandi stelle dell’Orsa le cui ruote viaggiavano verso un paese di sogno. Il servo malarico, riavutosi alquanto, si sollevava e prendeva parte alle chiacchiere famigliari. Era un bel giovine, lontano parente del signor Antonio, olivastro e coi denti bianchissimi: pareva un etiope, ed anche il suo modo di pensare aveva un colore barbarico. Parlava sempre di banditi e delle loro imprese brigantesche. Bisogna dire che, in quel