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206 i giuochi della vita


e nello stesso tempo diceva una verità crudele: — Ho diritto anch'io di vivere: pagate il mio pane, pagate la mia casa, lavorate anche voi!

Lavorare? Ma se anche lei aveva lavorato e nessuno voleva compensare il suo lavoro? Nessuno? No, c'era qualcuno che voleva pagarlo, quel lavoro: perchè non darglielo? Non era più disonesto defraudare il prossimo? Ella pensava così un pomeriggio di febbraio, appoggiata al parapetto della balaustrata del giardino Carlo Alberto. Come nel giorno in cui aveva portato il manoscritto alla redazione del giornale, ella guardava il parapetto bucherellato e gli alberi spogli che si allineavno sotto la balaustrata. Dietro di lei Carlo Alberto, grigio nell'aria un po' velata, sopra il giardino in quell'ora deserto e un po' triste, galoppava verso un ignoto destino; davanti a lei, sul marciapiede obliquo e solitario di via Parma, cadevano dagli alberi rossastri le ultime foglie morte, annerite dall'inverno.

Ed ecco che Carina paragonò non più il suo sogno, ma il suo orgoglio a quelle foglie ed a quella pietra, e pensò che il freddo e l'umidore della stagione e le malinconiche vicende del tempo potevano operare sull'uomo come su gli alberi e sulle pietre.