Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/118

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e non tradiva nessuna delle sue leggi, irritava maggiormente la signora, e il miglior complimento ch’ella potesse fare al compagno della sua vita era quello di dargli dell’animale.

Ecco però il vento riprende la sua terribile battaglia: e non potendo, in quel luogo, capovolgere velieri e buttare poveri diavoli in mare, si contenta di prendersela con gli embrici dei tetti, con le canne degli orti, e soprattutto con le persiane della casa; pareva avesse un mostruoso bisogno di spaccare i vetri, e divorarseli come un mangiatore di spade. E infatti ecco uno strepito di vincitore gonfiò la camera in fondo al corridoio; le persiane pareva applaudissero con allegro furore, un vetro fu spaccato e portato via. Si spalancò l’uscio, e l’aria si mosse, sino a far scricchiolare anche quello della signora. Ella si buttò giù dal letto come per ricevere in piedi l’assalto: ma vi fu di nuovo una sosta, e in mezzo alla rovina il russare del vecchio sposo parve un suono di zampogna fra i ruderi pittoreschi di un antico maniero.

Ella si infilò la veste da camera, ancora giovanilmente fiorita di grandi peonie, e andò ad esplorare. E camminava piano, con le pantofole felpate, tentando di non fare il minimo rumore; ma accorgendosi che erano l’istinto e l’abitudine a spingerla così, come una lepre fra i roveti. Infatti nella casa non c’era nessuno da poter disturbare; casa davvero silenziosa e deserta, con un profumo di solitudine come quello delle rovine dei castelli un giorno fastosi e pieni di rumore e di vita: e la finestra della camera di fondo, aperta sul buio tremolante di stelle

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