Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
2 | il flauto nel bosco |
ancora disabitato, talmente era timida, scarmigliata, coperta di stracci forse raccattati nei mucchi di immondezze che decorano gli angoli dei quartieri in costruzione.
Non conosceva i denari, e per dare il resto porgeva nel cavo della mano le monete spicciole che possedeva, affidandosi all’onestà di chi comprava. Fiducia spesso tradita, sia pure per un vile soldo.
Tutti del resto le volevano momentaneamente bene, per il suo viso fine di martire senza età, per la pacatezza con cui parlava della sua sorte accettandola come le erbe massacrate e vendute da lei accettavano la loro.
E tornava alla sua tana col cestino pieno di vestiti vecchi, di pezzi di pane duro, di scarpe logore: un giorno tornò con in testa un grande cappello piumato e il marito rise, con la sua bocca di cane malato; riso non di beffe ma di compiacenza, e anche il bambino rise tendendo le manine verso quel meraviglioso uccello ch’era divenuta la testa della madre.
Perchè sul cumulo di miseria che seppelliva la loro umanità il fiore del bene che si volevano tremolava come sui concimai lo stelo del palaino odoroso.