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L’agnello pasquale | 101 |
scrupoloso fino a non volere che si cogliesse neppure l’erba nei campi altrui e quindi restava un miserabile, un becchino.
*
L’agnello continuava a piangere, a chiamare la madre.
Aveva messo le zampette anteriori sull’orlo della mangiatoia e sporgeva la testa ricciuta, ma non osava e non poteva saltare giù. Il ragazzo lo guardava con cattiveria e con tenerezza:
— Mi sembri un predicatore sul pulpito — disse accarezzandolo sul dorso. — E metti giù le zampe e sta zitto, figlio di un cane. Adesso ti porto un po’ d’erba; poi, se stai buono più tardi ti riconduco da tua madre. E se non la smetti ti strozzo.
Tirò fuori di nuovo il fazzoletto e lo attortigliò in lungo formandone una specie di corda: poi lo rimise in tasca e andò a cercare l’erba avendo cura di lasciare la stalla aperta onde far credere, se si scopriva l’agnello, che vi era entrato da sè.
Dalla strada ascoltò se si sentivano i belati: si sentivano, ma confusi con quelli del gregge che s’era tutto accostato alla siepe come una nuvola che scende all’orizzonte.