Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/309

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studioso, con la testa curva su un libro, fra un globo di vetro e un cannocchiale, ed i suoi foltissimi e arruffati capelli grigi davano l’idea di una nuvoletta sospesa sopra un viso pallido e scarno di sognatore.

Egli accennò al visitatore di sedersi accanto al tavolo, e cominciò a interrogarlo, senza sollevar gli occhi dal libro dove pareva leggesse le sue domande. E di momento in momento queste diventavano sempre più intime, come quelle di un confessore, ma Bruno esitava nel rispondere, e la paura di compromettersi, diventata in lui una specie di istinto, non solo non gli permetteva di rivelare i suoi segreti, le sue abitudini, la sua passione, ma lo costringeva persino ad attenuare la gravità del suo malessere fisico. Finalmente il dottore si alzò e gli applicò sul petto nudo, sopra il cuore, un piccolo imbuto nero. Passarono alcuni momenti di silenzio penoso. Curvo, con l’orecchio sull’imbuto, il dottore ascoltava i palpiti del cuore malato; e Bruno lo guardava con diffidenza, sembrandogli che il vecchio spiasse i suoi più intimi segreti.

— Riposo, riposo, riposo, — qui, e qui! — disse infine il dottore, sollevandosi e toccandosi la testa e le gambe; poi ripulì l’imbuto e tornò a sedersi davanti al tavolo.