Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/344

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— Ah, se tutti dovessimo scontare i nostri peccati! — disse Predu Maria, toccando abilmente la bilancia per far precipitare il peso; e non aveva finito di parlare, quando un paesano entrò e gli diede un bigliettino.

La maestra lo avvertiva che il delegato lo mandava a chiamare: si presentasse in questura l’indomani mattina alle otto.

Egli scese a Nuoro incalzato da una sorda inquietudine. Il sole tramontava circondato da grandi nuvole rosse; e fra poggio e poggio, nello sfondo dei boschi, la nebbia autunnale saliva purpurea come il fumo di un incendio lontano. Egli ricordava, e camminava svelto, per quanto glielo permetteva la sua pinguedine, impaziente di arrivare in paese e di sapere qualche cosa. Ma le donne non seppero dirgli nulla, ed anzi la maestra cominciò a tormentarlo con mille domande e mille supposizioni. Allora egli andò a domandare notizie di Bruno.

— È già andato a letto, — disse la serva, e lo invitò ad entrare; ma egli s’era fermato sul limitare della porta e non aveva intenzione di avanzarsi. Guardava la vasta cucina ingombra di stoviglie sporche, i fornelli accesi, la vecchia serva imponente, Marielène che andava e veniva, agile e