Pagina:Deledda - Il nostro padrone, Milano, Treves, 1920.djvu/351

Da Wikisource.

— 345 —

di me; ma son io che rido di te, adesso. Ah, ah, ah!...

La camera echeggiò del suo riso forzato, più orribile di ogni insulto: e Predu Maria sentì come un colpo in pieno viso e un tintinnìo metallico gli tremolò entro le orecchie. Sebastiana lo tradiva? Con chi? Col Perrò?

— Con chi? — gridò allungando le mani contratte. Si toccarono, come pronti ad azzuffarsi; ma Antoni Maria tornò a sedersi sul lettuccio e disse ridendo:

— Va a vedere! Va!

— Tu mentisci. Ti conosco. Ad ogni modo devi pronunziare un nome, se no ti pentirai: bada a te, uomo!

— Ah, alzi la voce, anche? Tu, proprio tu? Che cosa puoi farmi, tu, più di quello che mi hai fatto? Incendiami l’altra tanca, e poi va a dire che sono stato io.

Cieco di umiliazione e di dolore, Predu Maria si avviò per andarsene. L’ultima speranza era perduta, non solo, ma tutto si sprofondava attorno a lui.

Mentre a tastoni cercava la porticina sentì di nuovo la risata del suo ex compagno — risata spaventevole, vibrante d’odio, di beffe e di gioia, — e provò la stessa impressione di terrore che lo aveva spinto contro il patrigno: un istinto di