Pagina:Deledda - Il ritorno del figlio - La bambina rubata, Milano, Treves. 1919.djvu/186

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la famiglia del gigante, per togliermi quanto avevo, proprietà, onore, sangue.

“Zia, — scrissi un giorno in cui ella mi pareva un po’ sollevata, — s’avvicina il tempo... Ho sognato stanotte ch’era venuto il nano con un involto. Ho pensato bene, e vorrei che la creatura si allevasse da noi”.

La zia lesse, poi volse la testa sul guanciale, con un atto stanco indifferente.

Bastò questo per farmi risovvenire di tante cose, e sopratutto della mia incapacità a provvedere a me stesso nonché ad altri. Ma quell’indifferenza della zia ricominciò ad irritarmi, poi mi impensierì sul serio, perché oramai si stendeva a tutte le cose. Nei primi giorni della malattia ella si preoccupava ancora per la casa, per gli animali, e si faceva venire in camera i gatti e i piccioni: adesso non si curava più di nulla. Mi aveva dato la chiave del cassetto dove teneva i denari ed io prendevo e spendevo: è vero che prendevo e spendevo con un certo timore, senza neppure osare di contare quanti denari ci fossero ancora, ma avrei potuto prendere e spendere tutto senza ch’ella se ne curasse.

E intanto vivevo in un’attesa che di giorno in giorno si faceva più ansiosa e impaziente: qualche cosa doveva pur arrivare: una lettera, una