Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu/210

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padrona senza batter ciglio; poi, all’occasione, le cercava con un fiuto di volpe: nulla: le lettere sparivano come volatilizzate, come lettere di spiriti: pareva che la padrona, come certi ladri sorpresi a rubare biglietti di banca, se le ingoiasse, per farle meglio sparire.

A Pierina dunque dispiacque quello spegnersi dell’ultimo guizzo di vita nella casa-museo della sua sempre più sbiadita padrona: il sor Francesco, invece, il flemmatico, il diplomatico portiere, provò un senso di sollievo. Conosceva bene il signor conte ingegnere Franci; come pure conosceva a fondo, forse più di quanto ella stessa si conoscesse, la sua riverita e, in fondo, cara padrona.

Ma quale era la persona che egli non conoscesse, e non solo superficialmente? Oltre i suoi inquilini, poiché egli si considerava moralmente e in certo modo anche economicamente, il padre eterno dello stabile, e le famiglie degli inquilini, i loro parenti, gli amici, le persone di servizio, i loro fornitori, i creditori, i debitori, le lavandaie, le stiratrici, i cani, i gatti, gli uccelli, conosceva tutti gli abitanti del quartiere, e molto più in là ancora: aveva relazioni amichevoli, e disinteressate in un certo modo, con la questura e le agenzie di collocamento e d’informazioni; conosceva una per una le signore dei quartieri intorno che affittavano camere o cer-