Pagina:Deledda - La chiesa della solitudine, 1936.djvu/192

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— Ma lei è matto. Perché poi il signor Aroldo debba essere dentro casa nostra non so. Ha commesso forse qualche cosa, per nascondersi?

— Ha commesso questo, che il matto è lui. — Si toccò la fronte, parve sdegnarsi, poi tornò a sorridere. — E da tre giorni che non lo si vede più: oh, sì, io però l’ho veduto che veniva da queste parti. Avevamo bevuto assieme, e lui aveva la sua brava chitarra, e diceva di voler fare una serenata. Ma va all’inferno, gli dissi io, tu e le donne: perché solo per le donne si fanno le serenate. E lui è venuto da queste parti; e adesso dov’è?

— Ma lei è matto, ripeto: noi non l’abbiamo né veduto né sentito. E la nostra casa non è un’osteria, per alloggiarvi gli ubbriachi e i loro strumenti.

Allora il Bartoli, con una voce di galletto arrabbiato, chiamò:

— Signora Concezione, è pregata di degnarsi di venire qui.

Ella si avvicinò, cauta, severa, ascoltò l’uomo, lo pregò di abbassare la voce.

— Senta, — disse infine, con un certo disprezzo, — se lei crede che il suo compagno sia qui, lo venga a cercare coi carabinieri.

Tirò via la madre, che tremava alquanto, facendola rientrare in casa: e là, mentre il