Pagina:Deledda - La chiesa della solitudine, 1936.djvu/20

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chetto che esalavano un buon odore di rosmarino.

Vedendo quei preparativi Aroldo ricominciò a rasserenarsi: già altre volte le donne lo avevano invitato, e, con l’appetito destato dalla lunga camminata, quella sera soprattutto si sentiva felice della loro ospitalità.

— Novità? Che novità posso portare? Si lavora come schiavi, e il padrone è sempre lì a urlare e pungere. Mai contento. Adesso, poi, con le piogge dei giorni scorsi, il terreno è brutto; vengono giù delle piccole frane, e l’acqua scorre dappertutto. Ma con la buona volontà tutto si supera. A me, del resto, il padrone vuol bene, forse anche perché sono il più coscienzioso. Anzi... — Guardò alle spalle di Concezione e non proseguì. Il suo viso tornò a offuscarsi.

Quando però furono a tavola, e la vecchia gli versò da bere, sebbene il vino fosse roseo e leggero come una bibita rinfrescante, egli riprese coraggio. Mangiando lentamente, servendosi di forchetta e coltello come un signore, riprese a raccontare, con la sua voce lievemente cadenzata, le vicende della strada e dell’impresario.

— È un tipo, però. È stato già due volte in America, a costruire strade e ponti, e adesso ha per la testa qualche cosa di straor-