Pagina:Deledda - La fuga in Egitto, 1926.djvu/10

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delle vigne, nella improvvisa immobilità della terra, i cespugli che parevano carichi di farfalle addormentate, i fili stessi dell’erba che si piegavano sulle loro ombre lunghe e vive, gli davano uno stordimento di febbre. Fra tutto quel verde non si vede che il tetto rosso della stazione: uscito dalla stazione egli si ferma ad aspettare, dritto fra le sue due valigie come l’asta di una bilancia; ma davanti a lui non vede che un largo viale erboso con in fondo un grande uovo metà azzurro di mare e metà di cielo.

Sopra il viale fra due file di pioppi e di robinie che sembravano coppie di sposi, alti e slanciati i pioppi, basse e tondeggianti le robinie cariche di frangie scintillanti, il cielo è alto è chiaro ma di una tristezza indicibile, tanto più che non se ne spiega la ragione: è la tristezza delle grandi solitudini, che non è nell’aria ma nel cuore dell’uomo che guarda.

E l’uomo con le valigie ha l’impressione di essere sbarcato peggio che in una città sconfinata e sconosciuta, dove nessuno parla la sua lingua: e se cammina dovrà camminare a lungo e arrivare solo ad una spiaggia deserta.

D’un tratto la nostalgia per la sua casetta lontana lo afferra: perchè ha lasciato la sua vecchia casa, il paese dove sono sepolti i suoi parenti, dove qualche amico lo aveva ancora?

Come i giovani e i deboli che non conoscono