Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/253

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— Zitta, zitta, zitta tu, sciocca!... — gridò il vecchio.

— E mi lasci dire una buona volta! — gridò ella, minacciandolo col cilindro. — Il padrone vuol metterci Piane, donna Maria vuol metterci Stefano... A chi? Ma a suo figlio! Ma facciano una cosa per non adirarsi nessuno. Ci mettano un nome che non sia nè l’uno, nè l’altro. Per esempio... Mosè!

Don Piane ebbe una delle sue rarissime infantili risate, e Stefano stette a guardarlo affettuosamente, con tutta la pietosa tenerezza che gli destava nell’anima quella piccola vecchiaia ricondotta alle debolezze dell’infanzia; poi, per troncar la questione senza pronunziarvisi, annunziò ch’era nominato giurato delle Assise di Sassari.

Partì pochi giorni dopo, e le due quindicine che passò a Sassari furono fra i giorni più gai e felici della sua vita. Sapeva Maria e don Piane in pace, sereni nella tranquilla gaiezza della casa pisana; aveva molti denari nel portafogli e in conseguenza molti amici, coi quali le serate gli trascorrevano veloci, al teatro, nei caffè, giocando, ridendo e chiacchierando. Se in quelle ore di godimento spensierato lo spirito si raccoglieva qualche momento in se stesso, cercando d’interpretare le proprie sensazioni, queste gli rispondevano con un pieno ardente inno alla vita, e tutto l’essere suo si sentiva