Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/254

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leggero, agile, sano e perfetto come in quell’indimenticabile istante di benessere provato nella valle. Allora, con la stessa larghezza, se non con la medesima intensità di vedute umanitarie, egli giudicava il prossimo suo.

E con questa indulgenza, e con l’idea fissa, quasi trasformata in monomania, che l’umana giustizia errasse ne’ suoi verdetti; che la giustizia ufficiale fosse composta solo d’uomini sani, ma inetti; o da uomini illusi che, spinti da istintivo desiderio di progredire nella loro carriera, vedevano in ogni accusato un delinquente da condannare; o da uomini malati di corpo e quindi non sereni, nè imparziali di spirito; o da uomini infelici nella vita privata e quindi spinti da incosciente reazione di crudeltà verso il prossimo; o infine da uomini non superiori, non integri, non sollevati al loro posto da vocazione nè conscienziosamente scelti nella società da chi, governando i popoli, dovrebbe specialmente tutelarne i giustizieri; ma innalzati ad un posto tanto alto e delicato dal materiale bisogno della vita e dalla scelta d’una carriera, Stefano, — quando sedeva nel banco dei giurati vedeva volentieri un innocente in ogni accusato, era proclive a credere falso ogni teste contrario (ricordava sempre il Porri), e quanto più il Pubblico Ministero incrudeliva, esponendo cavilli spaventosi, tanto più egli provava strano piacere nell’assolvere l’imputato.