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la via del male 289


Seguì l’amico o con lui e col contadino s’avvicinò a Sabina.

La giovine donna aveva perduto la sua freschezza d’un tempo; i capelli biondastri le sfuggivano ancora, qua e là, sulla fronte e sulle orecchie, incorniciando un visetto magro e giallognolo; il naso pareva trasparente; gli occhi soltanto, limpidi e chiari, conservavano lo sguardo infantile d’un tempo.

Ella non era infelice, ma era povera. Mossiù Giouanne1 non batteva veramente alla sua porta, ma ella doveva lavorare, procreare, allattare, e le donne che fanno tutte queste cose si sciupano presto. Dopo il suo matrimonio, le sue relazioni con la famiglia Noina erano quasi cessate; ella non aveva tempo di andare a trovare i parenti ricchi, e questi non si ricordavano di lei.

Sabina aveva dimenticato il passato. Quando verso sera attendeva il marito, seduta sul limitare della porta, e vedeva in fondo alla straducola avanzarsi l’onesto contadino con la bisaccia sull’omero, seguito dai buoi stanchi, ella faceva battere le manine alla sua bambina, dicendo: «ecco babbo, ecco babbo!» e le pareva di essere felice come una signorona.

Eppure, vedendo Pietro avvicinarsele, un lievissimo rossore le colorì il viso. Egli era così bello, così ben vestito, con gli occhi ardenti di felicità!

Quanti anni, quanti secoli erano trascorsi dopo

  1. La fame.