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nel regno della pietra 247


barbuto e con lunghi capelli neri. Il suo volto impassibile, d’un pallore grigiastro, pareva scolpito sulla pietra. Ed era taciturno e duro. Pareva che la natura della pietra, fra cui viveva, si fosse identificata in lui. Se parlava era con disprezzo. Da quell’altezza ove passava i suoi giorni, e perchè dopo quarant’anni di lavoro poteva vivere indipendente, giudicava gli uomini con disprezzo.

— Chi sarà quel matto che è salito quassù a tagliar pietre? — chiedeva ogni tanto Sidra, come parlando fra sè.

Il pastore stava seduto accanto al fuoco: non faceva nulla, non diceva nulla; solo di tanto in tanto sputava sulla cenere.

Sul tardi, mentre Sidra preparava la cena, s’udì un passo, una cantilena, e fra l’abbaiare feroce del cane, un uomo s’affacciò all’apertura della capanna, salutando:

— Buone ore tarde.

— Buone ore tarde.

— Voi eravate che facevate da tagliapietre? — domandò Sidra, ironica. — Entrate.

— Ero io.

— Entrate.