Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/166

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si scosse e sorrise: ah, non era colui che non poteva tornar più; non erano i dolci occhi stanchi, il buon viso scuro, no; era un viso estraneo, bello di salute e di giovinezza, due occhi chiari, egoisti, una bocca fresca, gonfia di vita sotto l’ombra dei baffi dorati Per la prima volta egli le parve bello, ma d’una bellezza che le destava antipatia e quasi un senso di rancore. Ah, egli era forte, era un uomo, era padrone della sua vita: ella era fragile, sola, legata a una misera sorte!

Egli s’avvicinò, agile e sorridente, e pareva si compiacesse a mostrarle i suoi bei denti bianchi di fanciullo.

— Come va, signora Lia? Si diverte?

— Oh, moltissimo, — ella disse con un sorriso ironico. — S’accomodi, ecco il nostro villino!

Egli sedette sulla povera ottomana grigia che alla notte serviva da letto, e guardò a destra, guardò a sinistra, dando in esclamazioni di gioia e d’invidia. Nello sfondo della porta brillava, sopra la linea gialla del muro del cortile, la linea violetta del mare; nella cornice del finestrino si disegnava, come in un quadretto di maniera, il sentiero rossiccio fra le macchie verdi, e in lontananza la collina bionda con la vetta verde e il cascinale bianco, in cima, sul cielo lilla. Egli quindi non badò alla stanzetta, la cui povertà era come inondata e quindi nascosta dalla luce meravigliosa che veniva di fuori: vedeva le macchiette