Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/217

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dalla finestra, certa ch’egli sarebbe arrivato col direttissimo delle undici e quaranta, e per non perder tempo si mise a lavorare. Ultimamente aveva comprato una macchina da scrivere e riusciva a guadagnare due e tre lire al giorno.

Dalle finestre aperte sul cortile arrivava un acciottolìo di piatti, un rumore d’acqua cadente sui lavandini: voci e cantilene di serve giovani vibravano nell’aria quieta e ricordavano a Lia i primi tempi del suo arrivo, i canti e i gridi di Costantina: ma a poco a poco i rumori intorno si spensero, e solo il lieve mormorìo della fontana del cortile continuò il suo lamento nella notte sempre più fresca e odorosa.

Ma nel salottino grigio, tutto riempito dell’ombra di Lia, il battito della macchina da scrivere palpitava monotono e come stanco. Lia copiava la traduzione di un dramma, una storia d’amore, leggera e ardente, convenzionale e vera nello stesso tempo: un soffio di peccato e di poesia faceva muovere i personaggi come foglie d’autunno, e suggeriva loro le frasi più ardenti e puerili che tutti gli amanti conoscono.

Lia aveva letto mille volte, sotto mille forme, quelle frasi sempre eguali e sempre scintillanti, come le lagrime e come le stelle; e di nuovo, sebbene se ne irritasse come davanti alla coppia all’ombra del muro, si sentiva assalita da un turbamento insolito. Le pareva d’essere ancora fanciulla: seduta davanti al tavolino preistorico