Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/218

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della sua cameretta nuda, copiava, per un piacere puramente sensuale, qualche pagina del «Muto di Gallura». L’assiuolo della landa ripeteva il suo richiamo desolato, e il chiarore della luna come rendeva più bello e misterioso il paesaggio, rendeva più intenso e in pari tempo più indefinito il desiderio di Lia verso la vita e verso l’amore. Ella non sapeva cosa voleva — allora; — e anche adesso non sapeva cosa voleva: ma la sofferenza era la stessa.

La stanchezza e il sonno vinsero a poco a poco la sua inquietudine. L’ora passava, lo stesso picchiettìo monotono della macchina calmò i suoi nervi; ma a un tratto, mentre le dita continuavano a muoversi automaticamente, la fantasia cominciò a lavorare per conto proprio, come liberatasi dalla volontà assopita di lei.

È una specie di sogno. Il desiderio indistinto prende forma: dapprima è una colonna di nebbia, con due punti scintillanti, poi un fantasma dagli occhi vivi, infine la figura di un uomo dallo sguardo che sembra quello di un egoista ed è invece lo sguardo di un’anima che soffre. Lia lo sa: il dolore dà agli occhi un’espressione che spesso inganna.

Ecco, egli arriva, egli sale le scale, egli entra: è completamente mutato: è cresciuto, come dice Nino; il suo viso fine e quasi femineo ha preso un’espressione virile: la bocca è meno fresca, come un frutto troppo maturo: i denti