Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/239

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confessione, Lia; ma adesso so di fargliela, so di rivelarmi a lei, e mi pare di vedermi, mi vedo, anzi.... (apriva le mani e guardava per terra, davanti a sè, quasi vedesse davvero l’ombra di sè stesso) mi vedo, Lia, con tutti i miei difetti, i miei errori, le mie debolezze.... E so che son diventato così perchè altri lo hanno voluto, non per colpa mia.... Io ero buono, sa, quasi ingenuo: la mia famiglia è equilibrata, semplice; mio padre un patriarca gentiluomo, mia madre una donna che giura che il male non esiste. Io e mia sorella siamo venuti su come due pianticelle delicate in un orto chiuso: io ero ingenuo e puro quasi come lei. Ecco perchè son piaciuto a quella donna. A vent’anni essa era già corrotta, mentr’io, a venticinque anni, ero ancora come un bambino. E m’ha preso e ha devastato la mia anima. Ma ciò che più mi disgustava, in lei, era la menzogna, sa, quella menzogna piccola, vile, quotidiana, la finzione diventata natura, il tradimento velato di amore, il veleno che vi si propina a goccia a goccia e non vi fa morire, ma vi turba la visione della vita, inquinando le sorgenti dell’essere. Quella donna era così: finta, sa, finta e corrotta fino all’ultima piega dell’anima. E non era incosciente, questo è il terribile: sapeva ciò che faceva, e non era contenta di sè, tormentata, e più era tormentata più era perfida....

Lia taceva, immobile, pallidissima.