Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/249

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Quante donne, anche fra le più invidiate, hanno la fortuna di amare, in silenzio, di vivere del loro amore?

Ah, ecco che cosa le mancava laggiù: l’amore. Era questo desiderio che la spingeva verso lidi lontani, e le faceva apparir deserte anche le regioni le più popolate. Ma era contenta di esser partita e di aver raggiunta la mèta. Amare, amare, tacere, vivere d’amore!

Ed era il suo primo amore, questo, ed ella se ne accorgeva, e ne provava tutta l’ebbrezza casta e misteriosa. Che cosa c’era davanti a lei? Una muraglia coperta di edera e di fiori, e al di là un giardino incantato ov’ella non desiderava penetrare. Amare, sì: perdersi nel giardino degli inganni, no.

Ricominciò a curare la sua persona, e in pochi giorni si trasformò, ridiventò fresca, con le labbra rosee, gli occhi lucenti, come illuminati alla fiamma interna che le dava calore e vita. Camminava agile per le strade, come una fanciulla di sedici anni, e le pareva di esser lieve, sospinta dal vento di primavera che riempiva di polvere e di profumi la città; e quando pensava al suo povero Justo diceva a sè stessa che se egli avesse potuto vederla sarebbe rimasto contento. Lo spirito di lui voleva certo la gioia di lei. La felicità completa non è di questo mondo; ella lo sapeva: è dei fanciulli o della gente squilibrata il sognarla. Ed ella non era più una fanciulla,