Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/256

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e sedettero sul piccolo divano e ripresero il discorso interrotto, ma Lia di nuovo fu presa da un senso di diffidenza.

— Ecco, — egli disse, traendo e porgendole una lettera la cui busta grigia aveva su un angolo un gran sigillo d’argento. — È di mia moglie. È diventata ragionevole, quasi buona: acconsento alla separazione legale, non solo, ma la proposta, adesso, è partita da lei. Essa è venuta a Roma, mi scrive, appunto per definire questa dolorosa questione; legga, legga.

Le mise in mano la lettera, e Lia trasse il foglietto, sul quale si ripeteva il sigillo d’argento; ma i suoi occhi si fissarono sull’intestazione del grande albergo donde la signora Guidi scriveva, e di lì non si mossero, come affascinati. Un gran palazzo sorgeva, in capo al foglietto profumato; cupole e guglie lo incoronavano, sormontate da bandiere; e una folla d’uomini piccoli come insetti gli si aggirava attorno. Lia vide una sala dorata, una bella donna seduta davanti a uno di quei piccoli scrittoi fatti per le lettere brevi e frivole, e si sentì umile e triste, lontana dall’uomo che le aveva messo in mano il foglio e la busta con gli inutili sigilli.

— Se essa è diventata ragionevole e buona, — disse, restituendogli la lettera, — non sarebbe il caso d’una riconciliazione?

— Oh, mai! Che dice! È diventata buona perchè ama un altro uomo, o le sembra di amarlo....