Pagina:Deledda - Nell'azzurro, Milano, Trevisini, 1929.djvu/127

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una terribile notte 123


sche di Gianmaria e Ardo, ancora una volta, si credette salvo.

Per quasi un’ora i tre uomini rimasero ancora nella capanna, intorno al fuoco, bevendo all’impazzata dalle loro grosse fiaschette che erano zucche secche lavorate artisticamente, dipinte, appese ad armacollo con cordoncini fatti con pelle conciata e colorata: e durante quell’ora Ardo vide più d’una volta gli occhi neri ed ardenti di Gianmaria fissarlo con uno sguardo che lo faceva rabbrividire. Tristi presentimenti gli torturavano la piccola anima spaventata: aveva la febbre, aveva paura e si pentiva di non aversi fatta dare la parola d’onore, la formale promessa di esser lasciato vivo da Gianmaria.

E pur troppo i suoi presentimenti, le sue paure non l’ingannavano.

Venne l’alba: un’alba fresca e profumata di autunno. Il cielo si tingeva d’argento, grandi sfumature metalliche, scintillanti, tremolavano sull’oriente facendo impallidire la stella del mattino, e la nebbia cerula delle aurore autunnali copriva le chine delle grandi montagne azzurre. Allora i banditi lasciarono la capanna: quando i loro passi, le loro voci si perdettero in lontananza Ardo si alzò per andarsene.

Era tutto indolenzito, pesto, lacero, pieno di