Pagina:Deledda - Nostalgie.djvu/135

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natìa; e lasciami lì uno o due anni. Faremo ora ciò che avremmo dovuto far prima: aspetteremo. Aspetteremo come due fidanzati l’ora della riunione: io mi abituerò all’idea di vivere una vita diversa da quella che avevo sognato; ed intanto la tua posizione (e chissà forse anche la mia), migliorerà. Quanti e quanti non fanno così? Anche una mia cugina fece così: suo marito era professore di ginnasio a Milano. Assieme non potevano vivere. Allora ella tornò a casa ed egli studiò, pubblicò, concorse, fu nominato professore di liceo e mandato in una piccola città; allora si riunirono ed ora sono felicissimi.

«Sentimi, Antonio; anche tu, certo involontariamente ma indubbiamente, hai avuto dei torti. Ma anche tu non sapevi! È il destino che scherza con noi. Quando nelle dolci ere del nostro fidanzamento io ti parlavo di Roma con un tremito nella voce, tu avresti dovuto capire ciò che io stoltamente sognavo; tu avresti dovuto intravedere fra le mie parole il mio sogno splendido e vano, come si intravede la luna attraverso la nebbia della sera. E invece! Invece tu alimentavi il mio sogno: tu mi parlavi di principesse, di sale, di ricevimenti.

«Vedi, è come se io avessi toccato il fuoco: qualche cosa si è bruciato in me. È mia la colpa? Se ho colpa, ora, è quella di non saper fingere: un’altra donna, al mio posto, sentendo come sento io, avrebbe finto, avrebbe accettato apparentemente la realtà, sarebbe rimasta presso di te, ma ti avrebbe avvelenato l’esistenza. Ricordati: anch’io, anch’io, nei primi mesi ti ho tormentato con la mia tristezza, i miei lamenti