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LIBRO QUINTO 257

diritto d’asilo alle chiese, tolto di là e spedito in Cipro sotto la custodia di fidate guardie. Se non che Gaine, mettendo Arcadio alle strette, incitavalo a dargli morte. Alla per fine gli amministratori dell’impero, deludendo con sofismi il giuro fatto al prigioniero nel ritrarlo dalla chiesa, ordinano di ricondurlo da Cipro, e quasi sacramentato avessero di non sentenziarlo a morte durante la sua dimora in Costantinopoli, tradottolo a Calcedone comandanne la uccisione. La fortuna per verità comportossi ver lui, sì nel prospero che nell’avverso stato, in estraordinaria guisa, inalzandolo a quella sommità di onoranze cui nessuno degli eunuchi era unquemai pervenuto, e dannandolo a morte per l’odio col quale i nemici della repubblica davansi lagno d’essere da lui perseguitati.

Gaine del resto, avvegnachè i suoi pensieri diretti a novitadi fossero generalmente noti, opinavali sempre occulti. Possessore inoltre dell’animo di Tribigildo viene, rappresentandolo, col principe agli accordi, e giurate da entrambi le convenzioni, retrocede per la Frigia e la Lidia. Tribigildo seguelo dagli omeri senza volgere neppure lo sguardo a Sardi, metropoli di quella regione. Riunitoglisi poscia vicino a Tiatira città, destossi pentimento in lui di non aver messo a ferro e fuoco Sardi, potendola, priva d’ogni soccorso, con facilità grande occupare. Stabilì dunque, tornandovi con Gaine, di espugnarla; ma volendo accingersi all’opera, cadde grossissima pioggia che, inondando il suolo, gonfiò talmente i fiumi da impedirne il valico e quindi le minacciate ostilitadi. Egli di là, per differenti sentieri