Pagina:Della Nuova Istoria.djvu/418

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una quasi certa vittoria, non teme, dove da ciò l’esito della pugna dipenda, di commettere all’arbitrio della fortuna, odi distruggere eziandio que’ mezzi, che la prudenza teneva in discosto apparecchiali, per una sicura, benchè infelice fuga, così l’esercito stesso sottoponendo alla necessità di vincere o di perire. Ma quanto più estremo è tal passo, ed ardito un tale consiglio, tanto più diligente, a ragione, vuolsi l’opera e lo studio che guidi al prospero riuscimento dell’impresa. I Romani dopo l’incendio della flotta, omai più non potevano che di due cose l’una; o conquistare l’ostile terreno, o in esso miseramente perire; perciocchè nel loro ingresso nella Persia, avendo distrutto e posto a sacco con le messi ogni altra cosa, vano divisamento sarebbe stato in presente il voler ritornare nelle proprie orme. L’Assiria mediterranea offerto avrebbe loro un ricco terreno dove vettovagliare, ma l’ignoranza de’ luoghi, malagevole a intendersi dopo che i loro avi visitato aveano da sì remoti tempi quella contrada, e la imprudente fiducia riposta da Giuliano su alcuni disertori del campo nemico, a’ quali affidò la propria marcia, fatti avendoli inoltrare in un deserto e montuoso terreno, ben presto li costrinse a ritornar lungo i fiumi, dov’essere ancora spettatori di quell’incendio che in breve trarre doveali ad ogni più estrema calamità.

L’ebbrezza della prospera fortuna, che condotto avea sin qui Giuliano a rifiutare ostinatamente ogni onorevole condizione di pace, sembra altresì che il traesse a far poco conveniente stima de’ funesti effetti, di che doveva essere feconda quella guisa di guerra che dal