Pagina:Della Nuova Istoria.djvu/433

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eppure di quauti opportuni episodii non è nelle sue mani fecondo? quanti diversi caratteri non vi scorgi, e come acconciamente non è ivi l’allegoria da un capo all’altro sostenuta? Osservansi, è vero, in questo componimento le tracce della rapidità con cui fu dettato, e più l’aspreggia l’aristofanica bile che non lo rallegri l’urbano lepore, ma a malgrado de’ suoi difetti, esso è però sempre un’ingegnosa, comechè a nostro credere alquanto esagerata pittura, de’ costumi di Giuliano e degli Antiochesi.

Prima nel merito l’operetta dei Cesari, anzichè in questo volume precedere le sue compagne, contentasi di seguitarle. Il che occorre dire che da noi si fece pensatamente; perciocchè dipingendosi in quelle la vita privata ed i costumi dell’autore, creduto abbiamo che esse potessero in qualche guisa servire di supplemento al nostro Discorso preliminare. La greca mitologia prestò mezzo a Giuliano di tessere in quest’ultima una favola satirico-drammatica, che sebbene in qualche guisa porga un’immagine degli antichi componimenti satiricodrammatici de’ Greci, pure per molti rispetti può dirsi senza modelli, come sin qui rimase senza imitazioni. Nè più nobile, nè più pericoloso argomento poteva essere scelto da un principe. Chi s’alza a giudice degli antecessori, viene a dare sentenza di sè medesimo. Ricorrendo la festa dei Saturnali, tempo non solo di terrena ma altresì di divina letizia, Romolo assunto in cielo col nome di Quirino, convita gl’Iddìi sull’Olimpo, e per natia gentilezza verso i suoi successori, v’appella anche i Cesari, già fatti Iddii a mezzo dell’apoteosi.