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214 DELLA CONDIZIONE GIURIDICA

ancor saputo ispirare delicati sentimenti ed elevati concetti al Firenzuola1, al Buonarroti, ai due Tasso2 al Guarini e all'Ariosto3. Quest'ultimo fu anche il più generoso e il più ardito di tutti nello apprezzare il valore intellettuale e civile delle donne, scrivendo in proposito versi ben noti in Italia, i quali potrebbero servire di epigrafe a qualunque più «liberale» scrittore dei giorni nostri intorno ai diritti ed all'avvenire del sesso femminile. Di lui è il giudizio che se le «valorose donne»

Si fosser poste a quegli studi
Che immortal fanno le mortal virtudi,

non solo eguaglierebbero gli uomini, ma

Tanto il lor nome sorgeria, che forse
Viril fama a tal grado unqua non sorse4.

Al qual giudizio consuona quell'altro pur notissimo:

Le donne son venute in eccellenza
Di ciascun’arte ove hanno posto cura5.

  1. Agnolo Firenzuola, Della bellezza delle donne, discorso primo e secondo (Prato 1541). È insuperabile la finezza di osservazione, la giustezza di analisi, la felicità delle espressioni di questo scrittore. Notevole è fra le altre cose la distinzione che egli fa della bellezza, leggiadria, vaghezza e maestà delle donne.
  2. Bernardo Tasso, Amadigi, canto XI, là dove dice:

    Che le donne ad ogni opra, ad ogni cosa,
    D'amor, d'ingegno, di valore e d'arte
    Sian atte, più d'un verso e d'una prosa
    N'emplono dotte e sempiterne carte, ecc.

  3. Guarini, Pastore fido, nel coro del terzo atto: O donna, o don del cielo Anzi pur di Colui, Che il tuo leggiadro velo Fe' d'ambe creator più bel di lui, Qual cosa non hai tu del ciel più bella?
  4. Ariosto, Orlando furioso, canto 37. Finisce il passo, di cui citiamo quattro versi nel testo colla invocazione, ricopiata in parte nel sonetto di Menagio, citato sopra a pag. 64:
               Non restate però, donne, a cui giova
             Il bene oprar, di seguir vostra via;
             Nè da vostra alta impresa vi rinnova
             Tema che degno onor non vi si dia,
             Che come cosa buona non si trova,
             Che duri sempre, così ancor né sia;
             Se le carte fin qui state o gli inchiostri
             Per voi non sono, or sono ai tempi nostri.
  5. Ib. canto 20. — Non finirei più se volessi rammentare tutte le produzioni