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88 | DELLA CONDIZIONE GIURIDICA |
l'uomo[1], e massima virtù della donna l'obbedire[2]. Colla strana dottrina poi che ripone l'ideale del sociale perfezionamento nella generazione umana senza il concorso dell'uomo[3], il Comte dà pur troppo a divedere che quella tanto decantata missione domestica della donna non è per lui altro che una nuova specie di servitù, per cui la donna dovrebbe esercitar la virtù del sacrificio e dell'abnegazione a maggior vantaggio della società, senza nessuna soddisfazione, né di amor proprio, né di affetto, e col solo stoico conforto di aver vinto se stessa, di avere repressa ogni più naturale aspirazione, conforto in vero impossibile a togliersi agli infelici ed agli oppressi. — A compensarle della inferiorità a cui le donne sono condannate dalle leggi e dalle abitudini odierne, il Comte fa brillare davanti a loro l'ideale della società positivista, di quella ben nota e tanto derisa teocrazia che egli immaginò sul finire della sua vita scientifica, teocrazia nella quale il culto della umanità avrebbe le donne per sacerdotesse, e queste alla loro volta riscoterebbero «adorazione» dagli uomini. Per verità gli è questo per se medesimo un ben magro compenso, prescindendo anche dalla lontananza della prospettiva, imperocché la donna rilegata fuori del mondo, e celata quasi nella sagrestia, perderebbe affatto colla libertà e colla responsabilità della sua condotta, la civile importanza, e la stessa coscienza di se stessa; sarebbe vera schiava per virtù di un ufficio sociale, invece di essere regina in mezzo ai doveri ed alle abnegazioni della vita domestica[4].
Non sono al certo le dottrine contraddittorie del Proudhon, e neppur le vaghe dottrine del Comte, quelle che più fedel-
- ↑ Polit. posit., p. 248.
- ↑ Cat. posit., p. 287.
- ↑ Ib., vol. IV, p. 68 e segg.
- ↑ Questo lato delle dottrine di Comte è stato bene tratteggiato e censurato dalla signora Power Cobbe in un articolo inserito nella Cornelia (anno IV, n° 3).