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Pagina:Della congiura di Catilina.djvu/37

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34 c. sallustio crispo

beni; che inceppati si custodiscano nelle migliori fortezze d’Italia; che nessuno ardisca in Senato o nel Foro nomarli; e chi ne parlasse, dichiarato sia reo di lesa Repubblica: quest’è il parer mio.»


LII.


Taciutosi Cesare, i Senatori in gran parte, chi intieramente, chi con qualche divario, al di lui parere accostavansi; quando, richiesto Catone, con la seguente orazione rispose. «Io di gran lunga dissento, o Padri Coscritti, qualora in se stessa la cosa considero, e l’universale pericolo, ed il parer di taluni. Ragionato hanno, parmi, della pena dovuta a chi l’armi contro la patria, i parenti e i Penati rivolge: mentre opportuno era, che ad ovviare tai delitti pensassero, più che a punirli. Ogn’altra scelleratezza, commessa castigasi; a questa, non antiveduta, son tarde le leggi. Perduta la città, nulla rimane a perdere ai vinti. Ma, voi principalmente, per gl’immortali Iddii ne appello; voi, che i palagj, le ville, statue e pitture vostre alla Repubblica finora anteponeste d’assai; se, quali sien elle tai cose che voi signoreggiano, ritenerle vi preme; se fra le voluttà di viver tranquilli vi aggrada; risvegliatevi al fine una volta, e con voi stessi ad un tempo la Repubblica difendete. Non dei tributi, o delle ingiurie degli alleati; si tratta qui della libertà e vita nostra, in pericolo entrambe. Spesso, o Padri Coscritti, perorando io qui contro il lusso e l’avarizia dei cittadini nostri, molti di essi m’inimicava: e certo, io che a’ miei proprj difetti non l’avrei perdonata, non facilmente gli altrui compativa. Ma, benchè del mio dire non si tenesse gran conto, la Repubblica pure, bene ancor radicata, con valide forze la trascuraggine compensava. Ora, pur troppo, non si tratta se costumati, o scostumati vivremo, nè quale e quanto terremo l’impero; ma se queste cose, qualunque siano elle, a noi rimarranno, o insieme con noi ai nemici. Risuonar mi si fanno qui forse i nomi di pietà e di clemenza? Gran tempo è già che fra noi i nomi pur anche delle cose son guasti: chiamasi il prodigare l’altrui, liberalità; l’osare ogni scelleratezza, coraggio: a tali estremi è Roma ridotta. Sian dunque costoro, poichè così vogliono i tempi, liberali colle ricchezze degli alleati; pietosi siano de’ ladri del pubblico; ma il sangue nostro risparmino; e per pochi scellerati salvare, i buoni tutti non perdano. Bene e con arte Cajo Cesare or dianzi fra noi del vivere e del morir ragionava; come quegli che poca fede alla volgare opinione prestando, l’Inferno, le sue diverse sedi, grotte, deserti ed orrori, deride. Egli opinava pertanto che i