Pagina:Della consolazione della filosofia.djvu/99

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subito muore e vien meno. A me, risposi, andandone considerando molte, non pare altramente. È egli cosa alcuna, disse, la quale, operando naturalmente, desideri, lasciato l'appetito dell'essere, di morire e corrompersi? Se io considero, dissi, gli animali, i quali hanno alcuna natura di poter volere e disvolere, non ne trovo nessuno il quale, non isforzato da alcuna cagione di fuori, si spogli e getti via la voglia dell'essere, e corra alla morte di sua spontanea volontà; perciocchè ogni animale fatica difendere la sua salute, fuggendo ogni cosa e schivando, la quale o morte o danno apportare gli possa: ma io non so già quello che dell'erbe, degli arbori, e poscia delle cose inanimate debba rispondere. Di questo certamente non puoi tu, disse, dubitare, veggendo l'erbe e gli alberi nascere primieramente nei luoghi a loro convenienti, dove non possono, quanto comporta la natura loro, nè seccarsi tosto, nè morire: conciosiachè alcune nei campi, alcune nascono nelle montagne, altre ne menano i pantani, alcune stanno appiccate ai sassi, certe sono fecondamente dalle sterili e infruttuose arene prodotte. Le quali chi si sforzasse di trasporre e trapiantare in altri luoghi, si seccherebbero; ma la natura dà a ciascuna cosa quello che le si conviene, e, mentre che possono durare, fa ogni sforzo che non manchino. Che dirò che tutte, fitta quasi la bocca sotterra, e, come noi diciamo, capovolte, traggono i nutrimenti colle radici, e poi per le midolle, per lo pedale e per le corteccie gli spandono? Che dirò ancora, che quello il quale è più tenero, come la midolla, sempre nella più