Pagina:Della geografia di Strabone libri XVII volume 1.djvu/46

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32 PROLEGOMENI

la superficie sferica della terra, in guisa da conservare, per quanto il consente il piano della tavola, la curvezza, o convergenza dei circoli paralleli e meridiani delineati nella sfera (182).

Fra i molti scritti d’Ipparco, dei quali il catalogo ne hanno conservatogli studiosi della greca sapienza (i83), intero non è rimasto sin oggi che quello intitolato Spiegazione dei Fenomeni d’Aralo ed Eudosso, inserito dal Petavio nel suo Uranologio (184). Dell’opera contra Eratostene abbiamo certi frammenti in Strabone (185), il quale ad un tempo biasima il troppo severo giudizio che Ipparco portò sulla geografia d’Eratostene.

Dopo Ipparco nomasi Polibio, storico di professione, ma utile alla geografia, perchè di que’ fatti che espose quale storico, determinò sovente anco e la posizione e la distanza dei luoghi, ove essi accaddero, siccome fece Erodoto. Tuttavia Gemino nomina pure un’opera peculiarmente geografica di Polibio intitolata: Dell’abitazione dell'equinozio (186), dalla quale opera è probabile che traesse Strabone (187) quanto disse della divisione della sfera in zone.

A Polibio succede Artemidoro l’efesio. La sua geografia comprendevasi in undici libri, e di essa solo ne rimane l’epitome composta da Marciano (188).

Dopo Artemidoro è Scimno chio, il quale descrisse in versi iambici il Giro per la terra, e lo dedicò a Nicomede re di Bitinia. Novecento settantasette versi e non più, si conservano tuttavia di quel Giro. Molte cose ei descrive come oculare testimonio, poiché percorse tutta la Grecia, l’Italia, la Sicilia, e gran parte della Libia.