Pagina:Discorsi sopra la Prima Deca di Tito Livio (1824).djvu/620

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288 dell’ira

s’adira. Essendo adunque l’ira un peccato arrogante e contumace e ch’è simile ad un gagliardo tiranno, non vuole esser ripreso da altrui: per ciò aver gli bisogna un qualche familiare e propinquo remedio che mitighi ed estingua l’incendio; avvenga che la spessa ed assidua accensione genera nell’animo nostro uno abito malvagio chiamato iracundia la quale finalmente si conduce e termina in bestialità, in amaritudine e in somma difficultà quando per ogni piccola cosa s’avvezza l’uomo sdegnarsi, inritrosirsi e commoversi ad ira, sì come il ferro tenero e sottile facilmente si rompe, con quello assiduamente cavando la terra: ma se il retto indizio resiste all’ira subito e quella ribatte, non solamente per allora medica l’animo, ma eziandio lo fa diventare più costante in futuro, e dalle proprie passioni più libero. E certo a me intervenne come alli Tebani (poscia che due o tre fiate cominciai a resistere) i quali avendo una sol volta ributtati i Lacedemoni, che in quel tempo eran da tutti insuperabili reputati, dipoi non poterono esser vinti giammai; per ciò che io aveva imparato i prudenti rimedj, con i quali la ragione far si potesse superiore, ed inoltre mi accorsi che non solo con lasciar raffreddare l’ira, ma eziam con alcuno timore sopravvenente si può l’ira discacciare, come dice Aristotile, e non meno ancora da qualche gioja cognobbi, come dice Omero, mitigarsi l’ira di molti e convertirsi in letizia; in maniera che io sono d’opinione che