Pagina:Domenico Spadoni - Alcune costumanze e curiosità storiche marchigiane (Provincia di Macerata), 1885.djvu/71

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pare del suo operato così soddisfatto, da stabilire per massima che «se in futuro, qualcuno della città di Macerata, per un fatto o cagione simigliante, commettesse qualche dehtto e maleficio difendendo l’onore del Comune e dei cittadini Maceratesi, non andasse incontro ad alcuna pena, anzi sempre avesse grazia e in premio gli fosse pagato dalla cassa comunale mezzo ducato d’oro per un paio di stivali (prò uno pari cakarunì).»


E che la gente non avesse tutti i torti di sparlare delle donne di Macerata, può rilevarsi da un’usanza che si osservava nella festa del protettore S. Giuliano.

In quella solennità gli amanti solevano regalare alle loro ganze (forse in omaggio al santo cacciatore) indovinate un po’ che cosa?... un variopinto uccello. Ma intendiamoci bene, non quelli ordinari, ma uccelli di gran pregio: pappagalli, pavoni o altri volatili fatti venire all’uopo dalle più lontane regioni, tanto che l’autorità comunale credè bene proibire questo lusso (allora v’era più lusso d’oggi), che dilapidava i patrimoni.

Ma oltre al consuetudinario regalo de l’uccello, vi era il costume ancor più curioso di regalare le melarance.

L’arancio, o altro pomo, lanciato addosso a qualche figlia d’Eva, che stava affacciata alla fenestra, mentre passava la processione di S. Giuliano, era in quei tempi1 una dichiarazione, un messaggero d’amore


  1. L’uso di gittar degli aranci o dei dolci alle donne si osserva ancor oggi negli ultimi giorni di carnevale durante il corso delle maschere.