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ragionamento settimo 109


Visino, Nuto pescatore, il Varlungo calzolaio,
Niccolò Martelli e lo Stradino.

Visino. Ritempera cotesta lira, ch’io son deliberato di fare intendere a Nuto che egli non sa ciò che si pesca, e tanto piú quanto la mia professione è di non far versi; perché noi altri bottegai c’importa piú lo stare a pensare di mantener la famiglinola che al rimare.

Nuto. Lascia, di grazia, dir prima al Varlungo quelle stanze d’Orlando che egli ha fatto:

1.

Varlungo. Scriva chi vuole in versi sciolti o rima,
di lucent’armi o d’amorosi accenti,
ch’io fo dell’uno e l’altro poca stima;
e se non foste ad ascoltarmi intenti,
non curo unquanco, ch’io non volo in cima
degli arbor, delle stelle o sopra i vènti,
ma canto da me sol d’un vantatore
detto Fuscello, anzi frappatore.

Stradino. Lascia star Fuscello, ché egli è morto; e poi egli è stato mio ragazzo, quando era in Puglia cavalcatore.

Varlungo. Fuscello è il ciabattino che mi sta presso a bottega, il piú nuovo zugo del mondo, e ha piacer che sia detto di lui, anzi ogni dí fa cose notabili, se ben sono scelerate, per esser bociato su’ Marmi e per le taverne dell’immortalitá.

Niccolò. Lasciatelo dir ciò che gli piace; ma io arei avuto caro d’udir d’Orlando. Tu, Nuto, che di’ di questa mia opinione? Vuoi tu che egli canti d’Orlando o d’un ciabattino gaglioffo? Suona, di’ su, Nuto.