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ragionamento settimo 135

Betto Arrighi, Nanni Unghero e Dattero Giudeo.

Betto. Ogni persona si vuol contentare di fabricare: volete voi altro che esser certo ciascuno avere il suo umore in capo, da me infuori che l’ho nell’ossa? Se voi mi volete fare il modello a modo mio, fatelo, quando che no, amici come prima.

Nanni. Vi pare a voi che egli stia bene non aver finestre su la via dinanzi principale, a pena un occhio per vedere chi è? Poi, quella parte di mezzo giorno, dietro, con sí gran finestroni non mi piace; la state v’entrerá troppo sole.

Betto. Le farò serrare, acciò che non v’entri; e ancor, l’invernata, per amor del freddo, vi farò sportegli, invetriate, impannate di fuori; a tutto ci ho riparo.

Nanni. E quando le brigate verranno e dirannovi: — Che fabrica pazza è questa! Oh ve’ qua cosa non usata! oh ve’ lá che foggia! —?

Betto. Come io temo cotesto solletico, io son l’oca: ècci palazzo in Firenze che non vi bastassi l’animo d’apporci?

Nanni. Molti, anzi tutti.

Betto. Né ancor casa che piaccia ad altri che a colui che la fa fare. Se si potesse fare una sperienza, voi rideresti: súbito che una casa è fatta, donarla a uno, che non fosse povero povero, ma di stato mediocre; e che la fosse fatta con tutti i modegli di Filippo di ser Brunellesco, con l’architettura di Bramante e d’Antonio da San Gallo e vi fosse aggiunto il sapere di Michel Agnolo (che non si può andar piú manzi, chi non va per acqua); voi vedresti che non vi sarebbe stato dentro un mese che fabricherebbe o tanto o quanto, con dire: — Questa finestra non sta ben qui; fammi un uscio qua, e lieva e poni —; se vi dovesse rimutare il truogolo, egli non l’è per tenére a quel modo. Cavane lui, e mettivene un altro: súbito e’ ti fará