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ragionamento settimo 147


Alberto Lollio, Bartolomeo Gottifredi
e Silvio scultore.

Lollio. Messer Bartolomeo, onde deriva che voi non date al mondo de’ vostri dolci e saporiti frutti prodotti dall’intelletto vostro fertilissimo e mirabile? Non vedete voi come il mondo s’è dato oggi tutto alla lingua volgare? come se ne diletta ciascun principe, signore, gentiluomo, e, per dir cosí, ogni plebeo alla fine vuol lèggere?

Gottifredi. Voi m’avete dato appunto dove mi duole: che cagione vi ritiene a non seguitar di scrivere con sí onorato stile e sí dotte cose, come avete cominciato di fare?

Lollio. Il continuo travaglio delle faccende del mondo, alcune infirmitá che m’hanno offeso grandemente; e poi, le mie cose, pare a me, non son buone né son date in luce per insegnare, ma le fo per non parere ozioso, e non le reputo nulla, come colui che mi conosco né mi voglio attribuire di sapere.

Gottifredi. La modestia vostra non direbbe altrimenti; ma voi avete dato al mondo tal saggio della dottrina vostra che egli non accade lodarla, perciò che tutti i peregrini spiriti l’ammirano, conoscendo che séte in tutte le cose gentiluomo mirabile e virtuoso onorato.

Lollio. Fia bene metter da canto l’affezione che mi portate e dir che un par vostro, d’animo gentile e cortese, non parlerebbe verso i suoi amici altrimenti. Ma ditemi, vi prego, ciò che vi ritiene che non date alcuna cosa piú alla stampa.

Gottifredi. «Il meglio è che io mi taccia — disse il poeta — amando e muoia».

Lollio. Voi sapete che colui che è di opere egregie supremo è degno di lode; ma colui che scrive bene le sue lode è degno d’una ottima fama anch’egli. Voi séte uomo per uscire