Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/152

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col suo innamorato, così stretta a lui, così immersa nella sua nuova felicità, che aveva persino dimenticato di vendicarsi.

Ma Innocenza, dietro le imposte socchiuse, raggomitolata su sè stessa come un serpe, pallida e a denti stretti, la spiava.

Ella non era più tornata al paese; si era rinchiusa in casa, in una solitudine, in un mutismo ostinato e freddo che desolava sua madre; non mangiava quasi nulla, passava le notti a voltarsi e rivoltarsi nel letto, ma non piangeva, non si lagnava, e se Nanna la guardava, se l'interrogava con quei suoi umili occhi di cane prorompeva aspramente:

— Perchè mi guardi? che vuoi? — e correva a chiudersi a chiave nella sua cameretta.

Nanna dal buco della serratura vigilava, e intravedeva la figlia, presso alla finestra appena, socchiusa, in agguato. E avrebbe voluto gridarle:

— Non guardare!... — e trascinarla via con sè, bendarle gli occhi, perchè non vedesse. — Non guardare! non guardare!...

Nanna sapeva bene!... Era primavera, l'ora in cui l'amore degli altri fa tanto male a chi è solo; dopo il tramonto tutti gli innamorati venivano a passeggiar lungo il fiume... Passava Pasquetta con Zeffirino; passava la figlia dell'oste del Gambero con Gigi carrettiere; passavano Concettina e Rosa, le merlettaie, coi due fidanzati; e Teresa, la zoppetta pallida, col suo fedele suonatore di flauto che da sette anni aspettava di poterla sposare; e Nina, la rossa,