Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/188

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pericoli. Intuiva con sicuro istinto che quello era l'unico mezzo per indurli a riflettervi.

E l'autunno era passato senza troppi malanni.

Venuto l'inverno la Signora l'aveva chiamato nuovamente. Gli aveva chiesto:

— Vuoi restare ancora? Li accompagnerai a scuola. Lavorerai nel giardino, e la sera andrai a riprenderli. Resti?

Sì, restava. Come aveva potuto la Signora dubitare della sua risposta?

Egli li aveva accompagnati ogni giorno alla scuola della vicina città guidando lungo l'argine la cavallina bianca che correva come il vento. Per la strada i ragazzi cantavano, salutavano con nomi buffi gli alberi, i paracarri, i passanti, mettevano in musica le declinazioni latine, e qualche volta la cavallina s'impauriva alle voci e sbandava improvvisamente. Battista la teneva con polso fermo, e nel ritorno la riconduceva al passo perchè a casa non s'accorgessero che era sudata.

Così passò un anno, due anni, tre anni.

Carlo ebbe il tifo, e Battista lo vegliò. Battista prese il male, e i due ragazzi l'assistettero giorno e notte.

Nessuno ormai più gli chiedeva se voleva restare. Egli era della casa, come la vite selvatica che la serrava intorno intorno ed ogni giorno più tenacemente l'abbracciava.

I due ragazzi erano cresciuti; erano ormai quasi due adolescenti: alti e svelti, dagli occhi ardenti nel viso pallido.

Essi si pettinavano con cura, ed avevano un