Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/190

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pareva quietarsi, e, per un lungo intervallo di calma, tutto pareva dimenticato.

Ma un nulla bastava a far sprizzare nuove faville dal fuoco ormai troppo ardente e troppo profondo per non propagarsi; e la febbre riprendeva gli animi, dimentichi d'ogni prudenza, folli di poesia e di speranza.

Si tentavano le prime audacie: illuminazioni, fiori, colori, saluti; dimostrazioni che erano un misto di coraggio e di puerilità, ma che avevano tutte lo stesso significato, da un capo all'altro della patria, come una parola d'ordine, come uno squillo d'allarme.

I ragazzi vi si divertivano come ad un gioco.

Un giorno era corsa l'intesa in paese, d'illuminare interamente ad una stessa ora tutte le case, e di lasciare tutta la notte le imposte aperte di modo che inaspettatamente la borgata intera brillasse da mille e mille occhi luminosi quasi a dire: Si veglia!

I ragazzi si erano divertiti un mondo nei preparativi, ma più ancora, il giorno appresso, a contraffare le facce dei tedeschi che avevano dovuto ingoiare la provocazione senza potere in nessun modo punire i cittadini.

Si divertivano: era un gioco.

Ma un'ora suonò, una notizia venne, in mezzo a quell'inconscia spensieratezza, che li chiamò duramente alla realtà.

A poche miglia da loro, italiani e tedeschi si erano battuti. I nostri erano stati sopraffatti dal numero, le case incendiate e messe a sacco, tutti fuggivano costernati.