Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/216

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Mademoiselle Sarazin, questa rispose sì, ed Ignazio uscì con tutta la fretta delle sue vecchie gambe.

Un minuto dopo rientrò reggendo una grande lampada velata di rosso, mentre un altro cameriere, Benedetto, fratello d'Ignazio, come lui bianco, curvo, e colle mani tremule, posava due pesanti candelabri d'argento sulla mensola e s'inginocchiava davanti al caminetto per accendere il fuoco.

I due vestivano i colori della casa — verde ed azzurro -, ed avevano i calzoni corti e le calze bianche.

Fuori del salotto, nella grande anticamera, s'intravedeva un'altra livrea verde ed azzurra, immobile: era Gianni, un ragazzo, nipote d'Ignazio e di Benedetto, che faceva il suo noviziato.

— Quando vi deciderete, donna Ottavia, a far introdurre la luce elettrica nel vostro appartamento? — chiese il barone Virdia a sua cugina, senza alzare gli occhi dalle carte che teneva in mano.

— Per amor del cielo, Everardo, non mi parlate di modificazioni! Questo è ancora l'unico sito dove possa illudermi che non siano passati questi ultimi disgustosi quarant'anni!

— Disgustosi per davvero, cugina, se non foss'altro perchè ci hanno portato le rughe e i capelli bianchi!...

— Voi sapete meglio di me che non è la vecchiaia che mi affligge, ma il disordine che sento negli uomini e nelle cose. Tutto è così sconvolto,