Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/246

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Quando lo seppi ferito nei tumulti del Maggio — i giornali dicevano «gravemente ferito» — mi recai a casa sua con miss Leight.

Vi fu una pausa in cui si sarebbe sentito il batter dei due cuori.

— Tornai più volte.

I lampi rigavano il cielo di gran luci gialle.

— Un giorno, io sono stata sua.

— Non è vero! — balbettò Gualtiero fattosi pallido come un morto.

— Sì, Gualtiero, è vero, è vero purtroppo!... Ti ho fatto chiamare per questo, per confessarlo a te, a te che sei tanto buono, che mi hai dimostrato sempre dell'affetto. A chi rivolgermi se non a te? Tu solo, tu solo, puoi compatirmi, comprendermi un poco, aiutarmi ad uscire dalla mia condizione orrenda! Tu solo puoi sollevarti al disopra dei nostri pregiudizi, delle nostre catene! Non abbandonarmi, Gualtiero, non abbandonarmi, se mi vuoi bene! — e gli afferrò le mani sperando, in quell'atto, di afferrargli l'anima.

Ma Gualtiero si svincolò violentemente dalla stretta.

L'incredulità e l'angoscia gli si leggevano in volto e lottando furiosamente lo rendevano come cieco e come pazzo.

— Ma non è vero! — balbettò smarritamente quasi parlando a sè stesso, stringendosi la testa fra le mani. — Non è possibile che tu, Valeria, abbia fatto questo!... Io ti aiuterò, farò tutto quello che mi domandi, ma non è necessario che io ti creda perduta per aiutarti!