Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/284

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di lei appassionatamente si attaccarono al caro volto di colui che credeva perduto.

— Elmir, sei tu?... E la tigre?... — mormorò ella con un filo di voce, temendo ancora di essere sotto l'inganno di un sogno troppo bello.

Elmìr fece un cenno, e un cavaliere presentò a Biancofiore un gran piatto d'argento: su di esso la testa e la coda della tigre, contornate di fiori, si pavoneggiavano con tranquilla civetteria.

— Eccoti la mia caccia d'oggi, — disse Elmìr. — Ti avverto però che un'altra volta lascerò placidamente che tu serva di colazione alla tigre.

— Taci!... — supplicò Biancofiore cogli occhi pieni di lagrime. — Non rimproverarmi!... Ho avuto tanta paura, tanto dolore, per te!...

E, soggiacendo nuovamente alle terribili impressioni e alle fatiche della giornata, ella svenne ancora sotto gli occhi di Elmìr.

Alcuni giorni più tardi, essi sedevano fuor della tenda, in una fresca mattina.

Biancofiore intesseva una piccola ghirlanda di fiori gialli ed azzurri appena colti sulla riva del fiume, ed Elmìr sommessamente cantava. Ma la fanciulla era inquieta, preoccupata e nervosa. Erano in viaggio verso l'ultima tappa,